Salve a tutti, sono un fan accanito (ma è dir poco) di LOST. Quella che vi propongo di seguito è una riflessione fatta sul fenomeno in questione, che ho appuntato durante la visione di diverse puntate: dalla prima stagione alla quinta. Spero leggiate e commentiate.
LOST, aspettando l’epilogo.
Guardando LOST, col susseguirsi delle stagioni (che preferisco comunque definirle come semplici capitoli di un’opera letteraria, per non cadere nella banalità che potrebbe comportare la dicitura “telefilm”) mi sono reso conto che personalmente, assieme ad altre migliaia di persone, ne rimango profondamente coinvolto. Incuriosito da questo fenomeno ho cercato in tutti i modi di dare una risposta al perché avvenga ciò, indagando su quello che è il concetto stesso del quesito: il livello di coinvolgimento tra lo spettatore e un’opera. Credo fermamente che ci siano diversi livelli di coinvolgimento che lo spettatore può trarre da un’opera: se cerchiamo di andare a ritroso nella storia, potremo definire un primo livello, quello più antico e sempre diffuso, quello dell’éstasi mistica, cioè quello che investiva gli spettatori che ammiravano le opere dei grandi Maestri del passato per mezzo delle loro tele. Questo livello, credo, abbracci tutta l’éra prima dell’avvento della fotografia, del cinema e naturalmente della televisione. Diciamo pure che fino all’Ottocento l’uomo era coinvolto spiritualmente dalle tele, dalle sculture e dalle architetture, sia per il loro valore estetico fortemente centrato sulla filosofia del tempo, sia per il tema esoterico/religioso dai quali essi venivano forgiati. Con l’arrivo della fotografia il livello di coinvolgimento è mutato da quello mistico-religioso; si è passati a quello del reale: lo spettatore sapeva di poter confrontare l’opera col mondo fenomenico, quello dell’uomo fisico e materiale, quello in cui egli stesso vive. Non è più il mondo del mistico, dell’inverosimile, della fede. Questo poteva senz’altro accadere di già con il Teatro, ma voglio momentaneamente trattare l’argomento di interazione tra spettatore e l’opera che non pulsa di vita reale. Già con le tele di Delacroix o di Courbet, o con il Realismo e l’Impressionismo in generale, possiamo affermare una cosa del genere, ma è stata senza alcun dubbio la fotografia che ha determinato l’inizio di una nuova éra nel coinvolgimento dello spettatore che contempla un’opera. Con la fotografia arriva il cinema che, alle sue origini, aveva assorbito lo stesso livello di coinvolgimento realista della fotografia. Tuttavia le interazioni multimediali tra spettatore ed opera sono comunque lontane, forse solo con il teatro moderno o meglio ancora per mezzo degli spettacoli circensi lo spettatore può persino divenire (se pur per breve tempo) il protagonista della scena, essendo coinvolto al centro della stessa, anche solo per fare momentaneamente da spalla all’ “attore”. Le nuove tecnologie del secolo scorso, nate dalla sperimentazione del video (che nasceva in parallelo con la televisione) avevano dato origine ad una nuova frontiera dell’interazione tra opera e spettatore. Quest’ultimo si spogliava infatti del semplice ruolo di colui che osserva da seduto, o in piedi. La sua posizione smette di essere statica, non è più egli a dover andare incontro all’opera, ma è l’opera che ruota attorno a lui. Ma l’opera, senza quest’ultimo, è incompleta poiché egli deve vestire adesso i panni del protagonista, e stavolta per tutto il tempo che vuole, in maniera permanente e non temporanea. Il coinvolgimento, in questo caso, è in prima persona, oserei dire del 3° tipo parafrasando la terminologia ufologa. Oggi, attraverso i reality show, il coinvolgimento è molto profondo poiché spesso nei partecipanti (anche se riesce veramente difficile ammetterlo) rispecchiamo, se pur in minima quantità, una parte della nostra personalità, poiché essi non rappresentano l’attore di un set cinematografico o di una sceneggiatura, ma più semplicemente interpretano la complessa maschera di una persona comune. Questo, potrebbe essere un livello di coinvolgimento banale o scontato ma attenzione, non negativo. L’esempio educativo che queste persone danno attraverso lo schermo può essere negativo (questa è un’altra storia), ma il livello di coinvolgimento dello spettatore nei confronti di un’opera non lo descriverei mai né troppo positivo né troppo negativo. Oggi, per via delle innumerevoli sfaccettature che i nuovi media ci propongono, catalogare tutte le tipologie di coinvolgimento spettatore/opera è molto complesso. In tutto questo, però, dove collocare LOST? Esponendo questa sorta di “excursus “ storico/culturale (che sono il primo a non giurare essere corretta) molto velocizzato visto che in poche righe ha ingoiato secoli e secoli di storia, ho cercato di delineare quali sono stati i principali livelli di coinvolgimento atti ad inserire la percezione dello spettatore all’interno di un’opera d’arte. Per cercare di catalogare LOST in una di queste categorie, devo convincervi del fatto che LOST è un’opera, prima ancora di essere declassato a semplice telefilm. Potrei mettermi a parlare dei guai con la giustizia di Kate, o del cinghiale che Sawyer voleva uccidere nella jungla credendolo una sorta di “personificazione” animalesca dell’assassino della sua famiglia. Ma personalmente non mi interesso solo di questo; anzi, non mi interesso affatto di questo. Ho imparato ad osservare questa grande raccolta di storie quale è LOST da un altro punto di vista, senz’altro molto più profondo, senz’altro più filosofico. Puntata dopo puntata mi chiedevo in continuazione come sia stato possibile che LOST mi abbia preso fino a questo punto, come sia stato possibile che le storie, ma ancor più le tematiche, ivi contenute mi abbiano convinto fino a tal punto. Mi è difficile catalogare il livello di coinvolgimento di LOST, anche se potrei uscirmene dicendo che in esso vi sono contenuti tutti i livelli fin’ora analizzati (ed effettivamente è quello che penso). Il livello di coinvolgimento, indipendentemente dalla sua tipologia è prima di tutto, allo stato concettualmente fisico, un insieme di messaggi che, a seconda del contenuto, possono interessarci e quindi coinvolgermi all’interno di esso adempiendo alla funzione per cui è stato creato, oppure non interessarci affatto, annullandosi definitivamente. Ogni messaggio in esso contenuto (e intendo qualsiasi tipo di messaggio, sia esso visivo, uditivo, tattile, olfattivo o legato al gusto) nel momento in cui lo percepiamo viene immediatamente comparato con un altro messaggio simile ad esso già presente nella nostra valigia delle esperienze e delle opinioni. Ed è proprio il metabolismo di questo che, come detto prima, genera la nascita di un livello di coinvolgimento (anche se pur di bassissima intensità), oppure dell’ignoramento e quindi dell’annullamento dello stesso. LOST, a mio parere, è un insieme di tematiche che a loro volta sono suddivise in insiemi di messaggi. I temi variano da puntata a puntata e, seppur quelli di maggiore interesse si contino sulle dita di una mano, non possono fare a meno di essere percepiti, poiché almeno uno di questi interessa il lettore, e lo coinvolge. Ma poiché tutti i temi sono strettamente correlati a quelli di maggiore interesse, lo spettatore che si interessa principalmente ad una tematica di valore relativamente inferiore, col tempo, si interesserà anche ai temi più importanti, anche se questi inizialmente non lo interessavano affatto. Se per esempio una ragazza si interessa alla passeggera storia d’amore fra due personaggi, con il trascorrere delle puntate non può fare a meno di sorbirsi il tema “destiny calls” o dei viaggi spazio/temporali, poiché anche il semplice flirt tra due personaggi (protagonisti o non) è legato a queste tematiche. In LOST, possiamo trovare tematiche dalle svariate nature: matematica (in primis: lo studio della fitta rete di collegamenti tra i trascorsi dei personaggi), scienza, fisica dell’impossibile, psicologia, letteratura, logica, sociologia e, sulla vetta di questa piramide ideale, la filosofia. Il fatto che quest’opera venga propinata al suo pubblico per mezzo di una serie televisiva divisa in più di cento puntate (ognuna delle quali dura in media 40 min.) e che non sia un singolo lungometraggio, è senza alcun dubbio un vantaggio senza pari. D’altro canto, affrontare tutte queste tematiche profondamente e seriamente ma al contempo essere recepite dal maggior pubblico possibile in modalità semplificate e immediate, non poteva che essere altrimenti. Il livello di coinvolgimento di LOST, quindi, a lungo andare soddisfa tutte le categoria sopra esposte. Abbiamo il livello mistico/religioso, quello realistico, quello di divertimento e quello da reality show. Forse non può totalmente soddisfare quello che pone lo spettatore come IL protagonista dell’opera stessa, poiché la fruizione di essa, in questo caso, viene fatta in posizione statica e non dinamica, visto che il media attraverso il quale viene recepito rimane comunque lo schermo. Mentre qualsiasi opera d’arte di tipologia di livello di coinvolgimento realista o fantascientifica ci fa sentire o troppo umani da un lato o troppo supereroi dall’altro, con LOST è come calarsi all’interno delle conoscenze più primitive dell’homo sapiens, in un equilibrio inquieto. LOST, a mio parere è alla pari di un quadro di Caravaggio, di Raffaello o di Renoir; LOST è un’opera d’arte, visto che con essa definiamo la trasposizione immortale nel tempo di un preciso periodo storico/politico/filosofico/sociale/culturale generato per mezzo delle tecniche di cui dispone l’uomo (l’artista nello specifico) in questo stesso periodo. E così come attraverso un’opera di Piero della Francesca noi oggi vediamo com’era il suo tempo e quali le sue filosofie e le sue ideologie, domani allo stesso modo i nostri figli e a loro volta i nostri nipoti capiranno chi era l’uomo all’inizio del terzo millennio, semplicemente guardando LOST. Ne verrà fuori che egli era perduto, smarrito come un naufrago su un’isola deserta, che riesce ad abbandonare, ma da cui viene irresistibilmente attratto, contradditorio com’era, facendoci ritorno. Egli era inghiottito dalla tecnologia, ma comunque sempre diviso tra scienza e fede.
Alessandro Occhipinti.
| "I've looked into the eyes of this island, and what I saw ... was Beautiful!" - John Locke - |
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